Superman

Negli anni ottanta a Cartoonia non si muoveva foglia se non per il passaggio della sua figura; sceneggiatori si erano impasticcati a morte per creare un universo coerente che potesse includere tasche temporali atte a dare significato a sparizioni di personaggi (Superboy, ad esempio) e alla comparsa di sciacquette tutte tette e supermemoria. 
La popolarità era data anche dal fatto che l’esercito, che in un primo tempo lo odiava e lo combatteva, con Lane (non ho mai indagato se era imparentato con quella che poi sarà sua moglie) in un secondo tempo ne chiedeva favori e servigi, facendone un paladino da copertina, locandine e strilloni nelle vie. 
Nel mondo reale Clark indugiava più nei centri sportivi che nella redazione del Daily, e non c’era palestra che non se lo contendesse, che non lo esponesse in vetrina. Ancora nel 2005, su You Tube, nessun video motivazionale aveva un senso se non lo comprendeva nell’atto di gonfiare i muscoli, e ogni work-out doveva avere l’odore del suo sudore. Touko Laaksonen (Tom of Finland) si era ispirato più volte al suo corpo e tutti i suoi personaggi avevano la mascella, le arcate sopraccigliari e quel maledetto baffetto che avresti desiderato di morire impiccato o di baciarlo.
Io stesso, nate le prime chat ad argomento, mi iscrissi ad un sito di santini porno per aver modo di comunicargli, coperto dall’anonimato di uno pseudonimo, la mia ammirazione e il mio desiderio. Le sue foto erano le protagoniste delle mie nottate di autoerotismo, e se davvero fossi diventato cieco, lui ne sarebbe stata la causa.
Oggi, la tecnologia ci appartiene, è diventata fruibile e il superbo è diventato a portata di mano, i nostri sogni son più accessibili, le necessità ordinarie. Clark lo vedo davvero molto di rado, ambedue siamo molto cambiati: governi diversi e latitudini diverse e sceneggiatori diversi hanno deciso sul nostro futuro, disegnando lui ancora bellissimo e simbolo della virilità maschia ed eroica, e io il rappresentante della meridionalità: basso, intelligente, irascibile. Lui è l’uomo bello, forte. Io il nano pratico. In una riunione condominiale lui prende l’aperitivo e parla parla, io prendo le decisioni. Abbiamo ancora visi importanti, impegnativi, ma mentre lui rappresenta i canoni, io da qualche parte dovevo annunciare la fortuna che avevo nelle mutande, e quindi ho un gran naso. Per fortuna, io non porto più un impermeabile stantìo alla tenente Colombo e il cappello di Sherlock Holmes in testa, nè lui quella orribile divisa rossa e blu. Non saprei se nel suo nuovo lavoro di insegnante veste in giacca e cravatta, ma io ora ho preteso e ottenuto una certa sensualità, tanto che i miei vecchi compagni di avventure mi canzonano: Alan, quando mi incontra mi chiama Bob Cock; Grunf non capisce la battuta, ma apprezza molto il mio nuovo outfit, con anfibi e Carthatt. Non lavoro più nel retrobottega di un buio negozio di fiori, ma sono il responsabile vendite di una azienda che orbita in ambito militare.
Di questo rivoluzionario body sheet, non ringrazierò mai abbastanza quel disegnatore dallo pseudonimo innominabile, che mi ha riportato ad una orgogliosa virilità.
In attesa di un rilancio, vivo alla giornata. Mangio un hamburger da Moucca, in piazza della Vittoria. Faccio il piacione con il cuoco, talmente bello da far male a guardarsi, e ogni tanto, quando le distanze si accorciano, ci diamo occhiate di fuoco. Lui frigge le patatine. Non fa altro, lo fa benissimo, con tutti i muscoli che servono, in vista. Inganno il tempo tra un boccone e l’altro zappando tra una chat e l’altra, e rispondo qua e là. Ho l’ormone aggressivo, per colpa delle sue occhiate fra una chips e l’altra.
Mi salta agli occhi questo nick, Superman.
Il selphie, sì, ne rende ragione, è proprio un bel manzo, peccato che il cell sia tenuto proprio sulla faccia, e non si capisce bene, ma avesse anche la faccia di Paperino, con un corpo così mi farei ammazzare in un vicolo sporco. So che non mi risponderà mai, tant’è che butto giù una frase stupida, e poi sfarfallo tra un profilo e l’altro.
Mi arriva la sua risposta e ferma il mio volo: possibile che il pezzo di tronco mi abbia considerato? Mi aspetto una rispostaccia, guardo: una risata.
Rispondo: “Bene, sono risuscito a farti ridere… mi basta solo portare la conversazione a farmi chiedere di inviarti le foto del mio pisello ed è fatta…“ farcisco di emoticon con le lacrime agli occhi.
“Sei così sicuro del tuo pisello?“
“Sì“
“E allora manda la foto del tuo pisello“,
altre faccine che ridono, intavoliamo una conversazione dell’assurdo, sapendo che non si andrà da nessuna parte.
Inaspettato, ad un certo punto arriva il suo invito, che io declino: “Senti, lasciamo il nostro incontro ad una sera che sei arrapato a bestia e non trovi niente e allora ripieghi su di me, così saprò di esserti di aiuto e condivideremo un mutuo soccorso…”
“Ok“
Abbandonato senza nemmeno tanto insistere, riprendo lo sfarfallio e mi scende una tendina di dialogo: Superman says “ Sei proprio sicuro di non voler venire? Alla brutta delle ipotesi ci facciamo un caffè“
Ok, sono una persona intelligente, ma nemmeno poi tanto.
Lasciarsi andare alla stupidità conoscendo i propri limiti è una cosa bellissima, e io lo faccio: “Manda location“.
Ci accordiamo che se non sono il suo tipo, il “controlQ” per uscire dall’imbarazzo è offrirmi un caffè, allora io capirò e me ne andrò. Segue una ventina di minuti fitti fitti di messaggini tra strade da prendere e “Cosa ti piace fare”, fino ad avere una confidenza sfacciata, come se avessimo deciso a priori di scartare la forma. Penso che sia per la mia bruttezza, e so che un certo rancore per questa mancanza di rispetto mi farà essere un amante di fuoco, irruento e violento, per quel che la mia forza fisica me lo potrà concedere, con quell’energumeno.
Il palazzo è vecchio, l’ascensore ha odore di legno vecchio, e io non so se ho più voglia di mettermi così alla berlina, ma le porte si aprono, e lui è già sulla porta: Cazzo, é Clark.
Ecco il perché del nick
Gli faccio uno scanner, è bellissimo, come sempre, ma nella sua intimità agghiacciante: porta le calze con un paio di ciabatte a fascia, la tuta con su una giacca da camera grigia o beige, non so. Continuo a guardarlo negli occhi, lui sorride come una Buick del ’69 e dopo un ciao con quattro A mi dice: “Allora? Che aspetti?“
“Che si richiudano le porte“
“Ma dai, stupido, entra“
Stupido. “Entro perché quando mi spoglierò saremo pari: tu bellissimo, e io agghiacciante come te da vestito“
“Stupido!“
Ecco, stupido, a posto: lo detesto già. Invece è gentilissimo, ci accomodiamo e quando mi chiede se voglio dell’acqua gli chiedo: "Non preferiresti offrirmi del caffè?"
“Ma dai, stupido che sei, perché?“ Ecco, stupido, a posto, ti farò molto male.
Prima che parta con qualche prosopopea sul tempo, le temperature rigide, trent’anni di Berlusconi e quello che dovrebbe fare la Bonelli per rilanciarsi degnamente, mi alzo in piedi e vado verso la sua bocca; lo guardo negli occhi: “Hai tre secondi per offrirmi un caffè, dopodiché io mi getterò con l’elastico, e farò un volo nella tua bocca“
“Ma dai, sei così deciso?” Lo stupido te lo sei dimenticato, e io entro nella tua bocca, che però mi delude un poco… tutto questo corpo e una lingua così piccola, e così poca passione; riconosco una frittata di zucchine in lontananza...
Però i vestiti che cadono la passione la riaccendono, perché dorsali e pettorali del genere li ho visti solo a Gardaland nella vasca dei delfini, quando Ben Hur si è tuffato per fare le foto della lotta con lo squalo. Le nostre bocche non si lasciano, e arrivati al letto mi dici: “Io sono etero”. Ok, i giochi rischiano di finire qui. Abbasso lo sguardo e penso: fuori è freddo e l’alternativa è un grog in qualche sporco bar del porto, una volta almeno erano fumosi. Ma lui ha una pelle bianca e tesa come il dorso di un tamburo, e in trasparenza vedo ogni vena, vedo il battito del cuore. Allungo una mano sui suoi pettorali di marmo. Facciamo qualche piacevole acrobazia dove dalla bocca passiamo ad assaggiarci ogni piega del corpo, ogni odore, come bestie che vogliono conoscersi e mangiarsi, peccato che il suo ricordi quello di un cassetto dove è stata dimenticata una tovaglia umida. Ma è il pensiero di un secondo: lui fa continue sequele di complimenti sulla dimensione del mio membro, e sento che è davvero eccitato da non ragionare, al punto di farmi la telecronaca di quello che sta per avvenire, ha un accento statunitense insopportabile e tutto ciò sembra un film porno, così pieno di “Oh, Yeah!”, “Oh, men”. Mi ha stancato, anche perché penso che se voleva fare l’etero, con quello spadino non avrebbe potuto fare tanto male: lo atterro sulla schiena, gli afferro i piedi che porto alla bocca, punto il dardo e lui se ne esce ancora con quella assurdità: “Sono etero”. “Sì sì“ gli dico” anche io..” e colpisco. E ancora e ancora, mentre divoro le sue dita, guardandolo negli occhi, e in quella vacuità azzurra leggo che desidera la mia bocca, lo accontento. Ripete che è etero ogni volta che prova piacere, ad ogni affondo, e ho capito cosa è cryptonite per lui, così inerme, adesso, tra le mie braccia, avido dei miei baci.
Nella doccia si stupisce delle mie cure, è come un adolescente alle prime volte. Lo asciugo e lo bacio, mi fa tenerezza, così indifeso nelle sue debolezze. Ci vestiamo raccontandoci i nostri nuovi lavori, e delle nostre moto, non riesco ad ascoltarlo per più di due periodi perché fa continue digressioni che mi innervosiscono, ma ha gli occhi così dolci e le lebbra così carnose che ho costantemente voglia di perdonarlo e di soprassedere.
Uscendo mi chiede: “Scusa, visto che vai giù…"
No, nonono… non è possibile: mi porge un sacchetto di spazzatura. E invece sì: “Visto che tanto la strada la devi fare… così intanto vedi la moto, è quella arancione, proprio attaccata ai bidoni”.
Saluto il tuo bellissimo sorriso, accarezzo con lo sguardo la linea netta delle spalle, la tua shape perfetta.
La vastità del cazzo che me ne frega, della tua moto, Clark, penso, aspettando che le porte dell’ascensore diano fine a questa serata metafisica. A mezzo piano premo lo stop, l’ascensore si ferma. Sciolgo il nodo al sacchetto. Spargo la spazzatura sul fondo dell’ascensore, cerco qualcosa che soddisfi la curiosità della mia parte femminile: voglio conoscere meglio questo supereroe, casomai volessi perdonarlo del tutto e far fiorire zagare di vivaio: sono stufo di essere solo. Bucce di banane come se piovesse, una pomata cortisonica, probabilmente un prurito che non ho notato. Quanti cazzo di yoghurt mangia quest’uomo? Verdure, pollo; nulla di interessante.
Riannodo il sacchetto, schiaccio start, l’ascensore con un sussulto si riavvia.
Non credo che lo rivedrò.